Le fave si sono diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo per la loro capacità di attecchire su terreni facilmente coltivabili. Le sue origini egiziane e le continue incursioni magnogreche, hanno permesso una larga diffisione sui ricchi terreni italici.

La particolarità del territorio della Valle d’itria, ma anche del circondario relativo alla piana degli Ulivi estesa da Ostuni, passando per Fasano, sino a Monopoli è stato lo sviluppo di un sincretico connubio tra le esigenze di coltivazioni intensive, misto alla possibilità di arricchire la diversificazione coltivata, attraverso intervalli di differenti colture. A Fasano è comune ossevare gli olivi secolari intervallati da coltivazioni di verdure.

Nella Valle d’Itria, fino a circa vent’anni fa, quando una cospiqua parte della comunità viveva di agricoltura sui propri fazzoletti di terra, era comune osservare durante la primavera, il paesaggio costituito da filari di viti, intervallato dalla residua terra rossa con i fusti delle fave, oppure le giovani piantine di pomodori, o le file di verdure e piantine messe a dimora per donare gli ortaggi che costituiscono il ricco contorno delle fave.

Questo sistema produttivo di auto sussitenze, si è diffuso nel precetto autarchico della cultura contadina, nell’ambizione perenne causata dalla minaccia della fame per riuscire ad essere auto sufficienti, avendo in qualsiasi momento i mezzi per il sostentamento della propria famiglia.

La vite quindi era la fonte di reddito primaria, ma ciò che stava nel mezzo, le fave per l’appunto, più del grano, erano il mezzo di sussistenza quotidiano.

Il contadino dopo aver vendemmiato ed aver ripulito la terra dell’erba infestante, costruendo il suo manto autunnale uniforme di terra e tralci alleggeriti, verso la fine di ottobre e per tutto novembre metteva a dimora i semi delle fave custoditi gelosamente per tutta l’estate.

Quella era la promessa ciclica che la fame non si sarebbe mai accostata alla propria casa.

Quelle azioni ancestrali perpetrate da milleni costituivano l’humus per un paesaggio ed una convivialità scarna, ma dignitosa.

Le fave erano quindi il simbolo e la speramza concreta della vittoria quotidiane del contadino per sopravvivere alla fatica di essere comunque legato e devoto alla terra e al proprio lavoro.

(Articolo a cura di Antonio Serio – Ecomuseo della Valle d’Itria)

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