La pianta delle fave è con ogni probabilità autuctona del bacino mediterraneo ed ha origini molto antiche. Le prime tracce che la riguardano, infatti, sono state trovate nell’odierno stato di Israele e risalgono ad oltre 8.000 anni fa, ma secondo anche le testimonianza archeologiche recenti è stata estremamente diffusa nell’antico Egitto. La sua duttilità in cucina e la capacità di adattamento a terreni impervi, ne hanno caratterizzato la sua diffusione capillare in tutte le case di contadini d’ogni luogo del nostro Mediterraneo.

Prima della scoperta dell’America e della successiva introduzione dei fagioli in Europa, d’altronde, le fave erano un cibo estremamente diffuso nel Vecchio Continente. Il grano tuttavia nella preferenza sulle tavole, vinse sulla fava, perché era un cibo più buono da mangiare, perché, per le sue proprietà organolettiche apparteneva ad un’alimentazione più raffinata. Le fave subirono così un declassamento e una conseguente desacralizzazione, finirono per diventare un cibo rozzo, buono per sfamare gli animali, per nutrire il terreno o per essere consumate dalla gente del volgo. Fave e lardo, se per i poveri che non avevano da mangiare, erano una ghiottoneria, per la gente raffinata e aristocratica, erano l’emblema della grossolanità e del peccato.

Varrone, nel suo De rustica, riporta come nell’Antica Roma le fave fossero tra gli alimenti più consumati assieme al farro e all’orzo. Lo stesso Catone, in uno dei suoi scritti, suggerisce di consumarle cotte condite con l’aceto, mentre Plinio parla di un piatto molto diffuso dal nome puls fabata, che altro non era che l’antenato dell’odierno Macco di fave.

Le fave continuarono ad essere diffuse nelle case di tutta Europa anche in seguito alla caduta dell’Impero Romano, in particolare tra la popolazione povera che ne sfruttava l’economicità e la duttilità di preparazione.

Fu solo con l’introduzione delle varietà di fagioli provenienti dalle Americhe, come detto, che il consumo delle fave subì un deciso arresto, tanto da venir relegato solo in alcune tradizioni regionali. L’introduzione delle patate nella cucina nel XVII secolo arricchiscono la purea di fave do nuovi sorprendenti abbinamenti e di una dolcezza al palato, capace di spazzare via per sempre tutte le carestie dai secoli successivi.

La dieta mediterranea, ispirata al modello alimentare tradizionale dei tre paesi europei e di uno africano che si affacciano sul Mediterraneo, quali l’Italia, la Grecia, la Spagna e Marocco, propone l’indissolubile elemento comune, costituito dalla presenza di una larga varietà di cereali, legumi, verdure, ortaggi accompagnati dal pesce e parsimoniosi di carne, legati indissolubilmente dall’olio extravergine d’oliva.

L’americanizzazione della cultura europea avvenuta negli anni Ottanta ha portato ad accantonare uno stile di vita più sano e ad accostarsi per moda, a cibi ricchi di grassi e scarsamente sani che nel breve e lungo periodo si sono dimostrati insostenibili per la salute e per l’ambiente.

Le fave sono state l’elemento presente soprattutto nelle tavole del Meridione d’Italia, l’antidoto alla penuria di proteine e il seme per legare culture diverse attorno al bisogno indissolubile di sopravvivere, l’elisir di lunga giovinezza per le culture solari del Mediterraneo.

(Articolo a cura di Antonio Serio – Ecomuseo della Valle d’Itria)

Share and Enjoy

  • Facebook
  • Twitter
  • Email