La cucina pugliese è una cucina povera per gli ingredienti usati, sempre legata ai cicli delle stagioni e al connubio tra la terra e l’amorevole fatica quotidiana dell’agricoltore.

Le fave e cicorielle, rinomato e tipico piatto è una delle minestre più antiche del mondo. Ha origine egiziana, ma con le dovute variati legate alle stagioni e alla territorialità assume differenti denominazioni: Fav’eFogghie, Fav’eCicuere, Fav’eCicuredd.

Della sua antichità di questo piatto dice tutto il nome: Incapriata o ‘Ncapriata dal tardo latino e bizantino Caporidia, derivante a sua volta dal greco antico Kapyridia, polenta di farinacei, parrebbe, secondo alcuni, che questo sia il primo piatto, nel vero senso della parola, cucinato dall’uomo, dopo le varie abbrustoliture, accidentali o volute, che avevano cominciato a rendere più commestibili e digeribili i cibi provenienti dalla raccolta direttamente in natura. Alcuni suggeriscono di aggiungere qualche patata, dicono che favorirebbe la cremosità, benchè la patata è giunta nel Nuovo Mondo quando questo piatto aveva già compiuto sicuramente più di 2.500 anni, ma probabilmente molti millenni di più.

La verdura ideale da abbinare alle fave è la Cicoriella selvatica della Murgia, quella che cresce con tanti stenti in una terra ingenerosa ed in assenza d’acqua, tra un sasso di calcare ed un altro; adatta è anche quella che da noi si chiama mescculanza, cioè un misto di verdure di campo, che oltre alle Cicorielle aggiunge Zanconi, Sivoni ed altro. Se delle erbette selvatiche non fossero per niente reperibile si possono usare delle Cicorie coltivate, il loro piacevole amaro esalterà il dolce delle fave.

Tuttavia le differenti stagioni offrono un ricco panorama di variazioni e abbinamenti costituito dalle verdure preparate in maniera semplice: dalla cipolla rossa di Acquaviva stemperata in aceto, all’insaltata ricca di verdure estive, tra i quali il cocomero barattiere, o il pomodoro regina coltivato nelle campagne fasanesi. A questi si aggiungono i piatti caldi, le fritture di cornaletti e melanzane, o la zucchina alla poverella, che rendevano le fave il pretesto per una sana bevuta di vino bianco.

Perchè pure se il contadino era povero non sarebbe mai morto di fame.

(Articolo a cura dell‘Ecomuseo Valle d’Itria)

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